Di cosa parla questo blog?

Un'altro libro di viaggio... ma cavolo, questa volta e' il mio!
Il libro parla di 15 mesi di viaggio in stile vacanza lavoro tra Irlanda, Australia, Indonesia, Nuova Zelanda e Thailandia. Nel blog troverete i commenti dei lettori, la colonna sonora del viaggio, la filmografia e bibliografia del libro, fotografie, l'introduzione e il primo capitolo e alcuni passaggi del libro accompagnati dalle relative fotografie, citazioni, notizie utili e link utili per i backpacker, info sui paesi visitati.

lunedì 13 dicembre 2010

Primo capitolo: I primi giorni


I primi giorni
Arrivati a Dublino prendemmo facilmente un autobus che ci portò al Brown Hostel dove avevamo prenotato per tre giorni. Una volta depositati i bagagli uscimmo a fare due passi e trovammo immediatamente un ristorante che cercava due camerieri. Entrammo e dopo cinque minuti lasciammo il locale con un lavoro per l’indomani. A quel punto l’assistente di volo mi svegliò per dirmi di allacciare le cinture perché stavamo atterrando. Vorrei subito mettere in chiaro che il mio inglese all’epoca era abbastanza scarso, e senza offesa Mara anche il tuo! La mia unica area di forza erano i testi musicali. Peccato che l’ostello che avevamo prenotato non fosse in Penny Lane. Infatti, il Brown Hostel si trovava in Lower Gardiner St. e per arrivarci dovemmo prendere l’autobus. Una volta sopra chiedemmo indicazioni al conducente ma non capimmo niente e scendemmo a più di un chilometro e mezzo dall’edificio quando c’era una fermata proprio davanti.
L’ostello non era un granché. Una stanza con solo quattro letti a castello e una finestra rotta che lasciava passare l’aria del mite inverno irlandese. Più spoglio della stanza era il mio morale, in quel momento ai minimi storici. Infatti, tutto ad un tratto il romanticismo provato durante la pianificazione e le immagini stoiche che avevo immaginato di me che viaggiavo per mesi come Bonatti si scontrarono con la realtà: italiano con pochi soldi e con un inglese da schifo cerca lavoro e alloggio…subito.
Disteso sul mio materasso malandato guardavo i muri scrostati, i letti di ferro e la porta sfondata dal pugno di qualche ubriaco. Lo spiffero che proveniva dal vetro rotto mi dava una noia terribile. Mi resi conto che volevo andarmene prima possibile ma che per farlo dovevo trovare al più presto un lavoro altrimenti con i pochi fondi disponibili non potevo permettermi una casa. Mi torturai con il pensiero che se fossi stato più parsimonioso negli ultimi anni e non avessi comprato tutto quello che mi passava per la testa la situazione sarebbe stata sicuramente migliore, inoltre la rata mensile della Punto non faceva che aggravare le cose. Avrei voluto venderla prima di partire ma i miei genitori mi convinsero che non sarebbe stata una buona mossa perché se fossi tornato dopo pochi mesi non avrei avuto una macchina per cercare lavoro. Mi ero quasi assopito quando arrivarono due ragazzi americani con i quali avremmo diviso la camera quella sera. Pensai che tutti quei viaggiatori che vedevo al Brown Hostel mi sembravano così sereni e rilassati, possibile che io fossi così teso. Sarà normale sentirsi così mi chiedevo.
I primi giorni a Dublino furono campali, non me li dimenticherò mai. Ci demmo subito da fare per trovare un’occupazione ma anche una casa poiché dopo aver visto i primi annunci ci rendemmo conto che l’ostello mensilmente ci costava molto di più. Camminavamo ore per cercare lavoro con il porta a porta. Tutti, bar ristoranti e pub, ci dicevano che dopo il periodo natalizio c’è sempre un po’ di crisi. Credo che fosse vero ma credo anche che il nostro inglese non ci abbia certo favoriti tant’è che in molti locali nelle quali vetrine erano affissi cartelli “staff wanted” non ci considerarono, lasciate il curriculum e vi faremo sapere dicevano. Sto ancora aspettando. Tutte le mattine facevamo tappa fissa alla Student Agency in Aston Quay dove c’era pieno di annunci di lavoro e di camere in affitto. Ovviamente come noi altre migliaia di persone ci si recavano quindi di regola ritornavamo demoralizzati al porta a porta.
Un giorno mentre gironzolavamo comprammo del cibo in un negozio russo a buon mercato dove tenevano una bacheca per gli annunci. Tra questi una coppia di Estoni affittava una camera in una casa abbastanza grande in periferia, nel quartiere nord di Donaghmede.
Di tutte le cose che mi ricordo difficili da fare in quei primi giorni sicuramente metto al primo posto telefonare in inglese, un incubo. “Dai telefona tu, no tu, tu ti prego parli meglio, ok provo ma non garantisco niente. Emh, Hello..? Can you repeat? Sorry? Tut tut tut. Ma Vaff…”. E quando ci dicevano un indirizzo? Auguri! Ad ogni modo gli estoni riuscimmo ad incontrarli e in macchina ci portarono a casa loro: una bella villetta in un complesso di case tutte uguali in stile irlandese con un piccolo giardino davanti e uno dietro nel quale per la prima volta ebbi a che fare con uno stendino rotante. Belle persone e bella casa anche se un po’ distante quindi la prendemmo e il giorno dopo lasciammo l’ostello e vi ci trasferimmo.
Nonostante non avessimo ancora un lavoro il fatto di avere una stanza privata risollevò un po’ il morale anche se devo dire che durante tutto il viaggio ho sempre vissuto questo passo con ansia nel senso che finchè vivi in ostello te ne vai quando vuoi ma quando prendi casa vuol dire che fai sul serio. Parlando di morale vorrei sottolineare a dover di cronaca che quello più malandato mentalmente ero io mentre Mara reggeva bene. Come autodifesa mi sono sempre detto che probabilmente il motivo stava nel fatto che ero passato da quattro anni di stipendio e cravatta a una vita da mendicante mentre lei stava facendo una sorta di master post universitario e quindi continuava a fare una vita da mendicante. In realtà Mara si adattava e si adatta tutt’ora meglio e basta.
Un giorno stavo fumando la mia sigaretta rollata nel cortile  della casa (di fianco allo stendino) riaccendendola ad ogni tiro a causa del vento perenne quando il nostro nuovo numero irlandese suonò. Una delle tante agenzie interinali alla quale avevamo lasciato il curriculum mi chiamava per un colloquio riguardante un lavoro presso il call center di una banca italiana. Fu così che ebbi la mia prima soddisfazione in campo viaggio-lavorativo. Infatti, dopo tre ore sotto torchio due delle quali inerenti a test su excel e powerpoint, ottenni il posto. L’apice dell’ egocentrismo lo raggiunsi quando mi dissero che il mio inglese era not bad anche se ero un po’ scettico perchè gli anglosassoni non risparmiano mai sui complimenti, forse perché non parlando nessun’altra lingua credono che saper dire anche solo tre parole sia grandioso. Sapete come andò a finire? Che non accettai il posto perché avrei dovuto parlare con clienti italiani e quindi non avrei imparato l’inglese. Allora mi sembrò un nobile motivo per rifiutare, adesso mi sento un pirla perché avrei potuto guadagnare duemilacinquecento euro al mese, vivere bene e pagarmi un corso di inglese...ma allora ero ingenuo ed era bello così.
Un mercoledì qualsiasi, alla Student Agency, mentre consultavamo gli annunci conoscemmo una coppia di Italiani di Milano. Si trovavano a Dublino con il programma post universitario Leonardo ed entrambi lavoravano all’IBM dove si conobbero e misero insieme. Andammo a prendere un caffè dopodichè ci mostrarono la loro casa in Temple Bar. Non mi sentii a mio agio, avevano un bel lavoro, una bella casettina, un buon stipendio e non persero l’occasione per farcelo notare. Provai invidia purtroppo. Quando si soffre, e in quel momento soffrivo, si vuole stare con persone nella stessa condizione pensai e perciò non li incontrammo più.
Alcuni giorni dopo, durante il porta a porta, lasciammo il curriculum in un fast food Irlandese in O’Connel Street di nome Supermac’s. Una responsabile ci disse che eravamo stati fortunati giacché da lì a un’ora ci sarebbe stato un colloquio di massa per assumere diverse persone in vista dell’apertura di un nuovo punto vendita. Dopo un’ora eravamo lì anche noi, unici europei in mezzo ad una cinquantina tra cinesi, mongoli, pakistani, africani e indiani. Più mi guardavo intorno più mi chiedevo se mi stava capitando davvero o se dovevo smettere di accettare caramelle dagli sconosciuti. Ci fecero compilare un questionario dopo di ché un’irlandese bella tonda ci chiamò ad uno ad uno presso un tavolo per  il colloquio. Quando anche l’ultimo nella sala fu ascoltato l’incaricata dalle gote rosse cominciò a leggere la lista degli eletti. Gli scartati uscirono a testa bassa visto il volume al quale urlava nome e cognome seguito da “No good”. Per fortuna eravamo entrambi tra gli scelti. Non posso dire di aver fatto i salti di gioia alla notizia ma almeno avremmo cominciato a guadagnare qualche cosa.
Il giorno dopo andammo  all’ ufficio del social welfare di King's Inns Street per farci assegnare il PPS, social number, necessario per lavorare. Arrivato il nostro turno ci trovammo davanti ad uno spiacevole problema burocratico: per avere il PPS number dovevamo mostrare o una busta paga o un contratto d’affitto o una bolletta intestata. Ahia. A parte che non vedevamo come avremmo potuto avere una busta paga visto che il PPS serve per lavorare eravamo nei guai perché ovviamente non avevamo un contratto d’affitto, in regola per lo meno. Preoccupati per la situazione andammo di corsa al Supermac’s dove ci dissero di stare tranquilli perché ci avrebbero comunque fatto cominciare l’indomani scrivendoci in seguito una lettera di garanzia con la quale il welfare ci avrebbe dato il numero. E così fu. Andammo anche da Pennys per comprare delle scarpe nere e dei pantaloni blu per la divisa come richiestoci. Comprammo dei vestiti orribili ma economici. Le mie scarpe avevano due righe color argento catarifrangenti. Quando arrivai a casa e le guardai di nuovo mi dissi che a tutto c’è un limite perciò, non riuscendo a rimuovere le righe, comperai un pennarello indelebile e le verniciai.
Primo giorno di lavoro. Partimmo alle cinque e quarantacinque da casa con il primo double deck della mattina. Il tragitto non era lungo ma con il bus ci vollero quarantacinque minuti. Appena arrivati fummo accolti da Alan il manager malese del negozio che ci fece un discorso degno della campagna presidenziale americana. Dopo averci caricato come molle ci diede in pasto a una russa incredibilmente antipatica la quale ci fece fare un giro del negozio e ci presentò il personale, un vero crogiolo di razze come avevo intuito al colloquio. Dopo aver ricevuto una camicia a scacchi bianca e blu e dei pantaloni dello stesso colore cominciò il training vero è proprio. Io fui assegnato alla cucina e Mara alle casse.  Un disastro, non sapevo se ridere o se piangere!  Non solo ero in difficoltà a causa dello scarso inglese ma in piu’ ci si metteva il cinese al quale ero stato affiancato con il suo accento anglo-mandarino. A un certo punto mi mandò nello scantinato a prendere delle cannucce che in inglese si chiamano straw. Non capii nulla tant’è che solo al terzo tentativo gli portai quello di cui aveva bisogno. A un certo punto della mattina mi disse qualche cosa tipo 愚蠢的意大利 e non credo fosse un complimento. A volte mi sembrava di essere tornato nei militari. I responsabili ci trattavano davvero male, sopratutto i pakistani. Mi sembrò di capire che disprezzassero i viaggiatori europei perché per noi è molto facile prendere un aereo e andare a Dublino a fare un esperienza del genere mentre per loro ottenere un visto è difficilissimo. Dopo il turno andammo da Tesco a prendere del cibo per festeggiare il nuovo lavoro. Quel giorno ricevetti la prima delle tante lezioni di umiltà. Capii quanto è difficile mettersi nelle scarpe di un immigrato che cambia paese e ha realmente bisogno di lavorare. Io potevo tornare in Italia il giorno dopo anche se sconfitto ma cosa dire invece di un africano che ha fatto un viaggio pericoloso di mesi per arrivare a destinazione e che a casa non ci può tornare?

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